Lorenzo

Un anno fa, senza che potessimo impedirlo, Lorenzo è morto.
Lasciandoci il ricordo dei suoi occhi verdi, scintillanti, che sembravano senza paura e una piega beffarda ad increspargli le labbra, se ne è andato alla chetichella come discretamente e semplicemente compariva tra di noi.
Ti abbiamo conosciuto ironico, gentile, disponibile fino all’estremo e così ti ricorderemo.
Quando si ha bisogno di parlare di un amico che ti viene a mancare, diventa sempre enorme la difficoltà a farlo con verità e senza retorica: è come ripensare alla propria vita, apparentemente vivida e insieme così sfuggente nei tantissimi giorni e momenti che l’hanno contrassegnata.
Qualcuno parlando di lui l’ha spesso chiamato affettuosamente il giovane vecchio o forse il contrario, tanto veri erano in lui quegli stati mentali: giovane nell’allegria e nel “fare”, vecchio in un suo certo disincanto e amarezza per le miserie di ogni giorno.
Amava giocare alla “dislessia”, Lorenzo, quasi a rimarcare la difficile comunicazione tra i sentimenti e la quotidianità, tra i fini e i risultati, tra la tragicità della vita e la sua, improvvisa e sorprendente, bellezza.
Come per i poeti prima di lui, a Lorenzo piaceva il vino perché come Baudelaire era convinto che solo il vino poteva trasformare il più lurido dei postriboli in una lussuosa dimora. Che sia stato come ci scherzavano sopra i suoi amici, il maggior testimonial del “Tavernello”, non ha mai messo in discussione la sua sensibilità nell’assaporare il vino di qualità; tutti guardavamo con apprensione il suo bicchiere con non più di due dita di bianco, senza capire che quell’ebbrezza leggera l’aiutava, forse, a superare una particolarissima solitudine esistenziale e “filosofica” che è propria di ogni umano che cerca di guardare dentro se stesso.
Cresciuto in una “bisca” conosceva quasi tutti i giochi del panno verde e dei mazzi di carte, i molti trucchi e qualche furbizia, ma non ne aveva ereditato le abitudini perché mancava in lui, ammiratore di Minnesota Fats, il cinismo e la cattiveria che contraddistinguono il giocatore di professione o il baro.
Chi potrà dimenticare la sua abilità un poco svagata al biliardo? Eppure, anche conoscendo ogni geometria tra i “diamanti”, Lorenzo non riusciva ad entusiasmarsi per i professionisti del panno riscaldato: una parte di lui non aveva mai lasciato le atmosfere fumose e giallognole del biliardo di Porta Pia, le partite di “goriziana” o all’ “italiana”, giochi che oggi, tra i ragazzotti che fingono d’aver vissuto, quasi non si giocano più.
Dopo la sua morte come fu per Edoardo, un altro amico che ci ha lasciato troppo presto, tutto è sembrato scorrere come se nulla fosse accaduto perché siamo piccola cosa e preferiamo chiudere gli occhi davanti allo scorrere della vita. Ma come potrebbe, chi l’ha conosciuto, giurare che nulla è cambiato nelle nostre esistenze, nelle nostre effimere certezze?
Per chi, come chi scrive, l’ha conosciuto ragazzo in una “stagione” piena di promesse e di appuntamenti da non mancare, restano indimenticabili il suo esserci sempre, il braccio che sostiene, il sorriso che rallegra. Con lui non c’era spazio per le disillusioni del giorno dopo o per i rimpianti pelosi.
Pur non essendo un melomane conosceva, senza che te lo aspettassi, la musica degli anni passati, quella che ha lasciato una traccia indelebile nel gusto e nella cultura di alcune generazioni insieme ad una quantità di aneddoti sconosciuti che hanno formato il loro immaginario collettivo.
Amava gli aquiloni Lorenzo e ne costruiva, lasciandoci stupiti quando i suoi sbilenchi aggeggi volteggiavano eleganti sopra spiagge o campi degradanti.
Era abile nei lavori di pazienza, muovendo le sue mani forti e gentili apparentemente impacciato ma con la precisione di un orologiaio: erano gli strumenti che rendevano scontato il risultato ad infastidirlo tanto da abbandonarli nei posti più diversi appena poteva. Così appassionato dell’ingarbugliato lego delle parole si cimentava in appassionanti sfide enigmistiche, divertendosi ad inventarne di nuove per l’ammirazione dei suoi piccoli protetti di tante vacanze.
Chi l’ha conosciuto più da vicino giura che Lorenzo era essenzialmente un essere “metropolitano”, il classico abitué del bar sottocasa, eppure a lui piaceva scoprire un paesaggio, un paesetto nuovo, un piccolo ristorante fuori dalle strade battute.
A lui che sembrava aver sempre camminato lungo il wild west end di Piazza Bologna, in fondo, superando una certa sua avversione di maniera verso la natura, non dispiacevano le passeggiate all’aperto, i boschi dove cercare funghi e piante insolite.
Aveva l’introvabile radicalismo della semplicità e della concretezza, nemico dei garbugli del “politichese”, sarcastico verso l’ideologismo di chi aveva sempre da combattere l’ultima e catartica battaglia.
Ti potevi confrontare con lui sui grandi temi con la stessa semplicità con cui parlavi del calcolo delle carte a Tresette, cosicché il fare politica comune era una luminosa, effimera, certezza di ogni giorno.
Fiumi di parole sono stati profusi per immortalare l’amicizia imperitura tra gli uomini ma non esiste il filologo capace di esprimere la nostra e il vuoto terribile che Lorenzo ha lasciato tra noi.

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