FRANCO MULAS, CRONACA DI UN’AMICIZIA
Roma, Accademia Nazionale di San Luca, 17 maggio 2023.
Buona sera. Vorrei ringraziare prima di tutto Sara Mulas per l’invito a partecipare a questo importante evento e soprattutto per quel che sta facendo per farci conoscere la vicenda artistica del padre.
Ringrazio poi l’Accademia di San Luca e il segretario Claudio Strinati, che mi dà la possibilità di dire qualche parola in ricordo di Franco Mulas in un contesto così prestigioso.
Io sono un giornalista appassionato d’arte, che mi piace seguire nelle sue veloci trasformazioni e praticare da dilettante autodidatta. In questi anni Franco Mulas è stato per me un amico e un maestro di semplicità e leggerezza. Ogni volta che sono andato a trovarlo nel suo studio o che ci siamo sentiti al telefono ho imparato qualcosa e oggi mi pento di non aver utilizzato il registratore per fare memoria e tesoro dei suoi racconti della vita artistica di Roma. Innumerevoli sono stati gli episodi “illuminanti” sull’arte e gli artisti attraverso il racconto dei suoi incontri e le sue gaffe (come quella volta che parlò male della tecnica degli acrilici a due artisti come Guttuso e Trombadori, che degli acrilici hanno fatto un grande uso).
1985-1990. Ho conosciuto Franco a metà degli anni Ottanta, io ero un giornalista alle prime armi, lui un pittore affermato che cominciava già a sperimentare nuove forme espressive dopo le prime esperienze figurative e di impegno politico. Era il tempo del ciclo “Finzioni”. “La montagna d’acqua” e “La Cascata” sono oggi tra i miei quadri preferiti. Mi colpisce la forza del segno e della materia quasi scultorea e nello stesso tempo metafisica. A quel tempo preferivo invece soprattutto i giochi di colori leggeri delle altre opere, le sovrapposizioni delle figure in un’atmosfera onirica. In quegli anni ho frequentato spesso Franco. Ci invitava con altri amici alle cene a casa sua, nella “piccola Londra” del quartiere Flaminio, insieme all’amico comune Massimiliano Santella. Ricordo le discussioni accese sulla politica e sulla perenne crisi della sinistra. Ma quello che mi colpiva di più era il suo modo di parlare e stare con gli altri, con una ironia e leggerezza che mi hanno aiutato a conoscerlo. Era appassionato nei suoi giudizi, si infervorava, ma era sempre pronto allo scherzo e alla battuta per sdrammatizzare. “Non lasciate niente nei piatti – ci diceva – lo sapete quanto costava la cicoria questa mattina al mercato?”
La campagna per la liberazione di Nelson Mandela. Franco era una persona generosa e il suo impegno politico e civile lo ha sempre accompagnato. Nel 1988 si spese molto per la campagna in favore della liberazione del leader sudafricano organizzata dal Circolo Culturale di Montesacro. Disegnò manifesti e quadri e coinvolse altri pittori famosi per produrre opere che servirono per sostenere economicamente le tante iniziative pubbliche che furono organizzate come il concerto di piazza Farnese con la diretta del mega concerto da Wimbledon. Era il 1988, si festeggiavano i 70 anni di Mandela. Fu liberato due anni dopo.
1991-2001. Tra la fine degli anni Novanta e il passaggio del Secolo si è intensificato il mio impegno giornalistico al Manifesto. In quel periodo mi sono concentrato soprattutto sul lavoro e mi sono occupato poco di arte, solo la visita di qualche mostra ogni tanto. Ho continuato però a seguire – anche se un po’ a distanza – l’evoluzione della pittura di Franco. Siamo al ciclo del Big-Burg, che a quel tempo io non avevo ben compreso. Mi produceva al contrario quasi un rifiuto. Rivedendolo invece oggi, mi pare assuma il carattere di un’anticipazione del grande tema ecologico: un paesaggio e un mondo spacchettati.
2002-2015. In quegli anni, anche per vicende personali, è rinata in me la passione per l’arte. Ho partecipato a corsi di disegno e di incisione, calcografia e xilografia. Ho parlato più volte con Franco delle tecniche. Per lui era il periodo di Spaesaggi, opere che confermano la centralità nella sua poetica della tematica ambientale, come quelle di Schegge. Non è neppure un caso che nel suo ultimo lavoro (incompiuto) di illustrazione abbia ripreso proprio quello stile (il bianco/vuoto che mangia il paesaggio e i colori).
In quell’anno alcuni amici mi hanno convinto a organizzare una mostra d’arte presso il Circolo Culturale di Montesacro con quadri che avevo prodotto negli anni precedenti da pittore della domenica. Una mostra-non mostra, fatta solo per stare insieme e costruita senza un filo conduttore vero e proprio. Avevo chiesto consigli a Franco che mi espose il suo modo di vedere l’arte e la pittura in particolare: “Non devi dire tutto, si deve lasciare spazio all’immaginazione di chi guarda l’opera. Ci vuole libertà e la natura è libera. ..”. E i miei quadri?, chiesi a Franco: “Quasi tutti sbagliati perché troppo carichi di particolari… bisogna partire dal linguaggio, dalla materia pittorica, non dal soggetto… semplificare per trovare la sintesi”. Anche se in quell’anno stava attraversando un periodo durissimo della sua vita, venne alla mostra. Mi chiese subito dove era appeso un quadro che aveva visto su Facebook. Glielo mostrai e vidi subito la delusione sul suo viso. “Ma come? Tutto qui? Mi aspettavo un quadro più imponente, importante”. Eppure “Mezzo pieno” (acrilico 30×24 cm), gli era piaciuto perché era il più enigmatico, da decifrare.
2020-2023. Con la pandemia sono diventati rari i momenti di incontro, ma ogni volta che Ennio Calabria organizzava eventi artistici, Mulas era sempre presente, nonostante i suoi problemi di salute. Quest’anno ho pubblicato un libro autoprodotto e stampato in poche copie per alcuni amici, “La pioggia non cancella”, con poesie di Stefano Prosperi (un altro grande amico che ci ha lasciati pochi giorni dopo la morte di Franco), con mie illustrazioni. Poesie e disegni sono commentati da Ennio Calabria che ci spiega l’importanza dell’”arte inutile”. Sono andato a casa di Franco per lasciargli il libro. E anche in quell’occasione mi ha regalato una veloce lezione sull’arte e sull’illustrazione. Stava bene, era sereno, nonostante la sua malattia cronica. Non avrei mai potuto immaginare la sua morte imminente. E così oggi mi colpiscono ancora di più i suoi Calendari, l’illusione di governare il tempo che passa, come novelli Robinson Crusoe. È stata l’ultima volta che l’ho visto.
Paolo Andruccioli, con la consulenza di Piero De Gennaro