Ciao Francesco
Ecco, siamo qui a salutare Francesco, cari amici-fratelli compagni di vita, … e il dolore è profondo per tutti, l’affetto e la vicinanza nel vivere lo stesso dolore dà la forza e il coraggio di affrontarlo insieme. Francesco è…era un fratello non solo per me e non solo mio. Come dice anche Piero nello scritto che mi ha mandato perché leggessi il suo saluto non potendo proprio essere qui.
Ve lo leggo:
Un altro pezzo della nostra vita personale e collettiva è volato via. Con Francesco ci conoscevamo da sempre, e la perdita così improvvisa di un amico-fratello è qualcosa che non potrà mai essere recuperata. Una persona affettuosa e di grande disponibilità, sempre pronta a stendere una mano in aiuto. Con lui si discuteva anche in maniera accesa, ma poi si finiva sempre con grandi abbracci. Ultimamente soffriva e lo si vedeva ma voleva sempre organizzare momenti insieme, soprattutto per mangiare una favolosa parmigiana che cucinava lui. Dovevamo vederci sabato passato ma mi aveva avvisato che non ce la faceva. Ho trovato una frase di un autore indiano “Gli addii ti fanno pensare. Ti fanno capire cosa hai amato, cosa hai perso e cosa hai dato per scontato”.
Un abbraccio fortissimo a Valerio, Marina, Massimo e Caterina e a tutti coloro che gli sono stati vicini e gli hanno voluto bene.
Piero De Gennaro
Ed è un abbraccio che racchiude qui una vita che se ne va, quasi a volerla trattenere ancora un poco con noi. Io e mio fratello siamo insieme da una vita, io per tutta la sua. I compagni del Circolo anche, dall’adolescenza in poi a vivere insieme utopie, speranze desideri nell’ostinato ottimismo della volontà di contribuire insieme a rendere il mondo più giusto partecipando alla storia del mondo. Amava la vita e il mondo e l’umanità Francesco e nonostante la sua malattia ha continuato a sperare e a immaginare un futuro“immaginando orizzonti oltre “la siepe” che – come dice Leopardi «da tanta parte dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.»
Ha continuato infatti il suo lavoro di ricerca per una energia sostenibile, sulla base della teoria della relatività di Einstein attraverso tecnologie più avanzate che potessero leggere la complessità del rapporto spazio tempo…. Ha proposto e attivato un progetto all’Istituto Galilei di alternanza scuola lavoro che sviluppasse questo tema, lo ha portato avanti anche nella malattia perfino dall’ospedale, perché, diceva, quella era la sua poesia, riferendosi alle belle poesie di Stefano che tano lo avevano preso e commosso.
Ha combattuto con coraggio e forza fino alla fine, non voleva darla vinta alla sua malattia più unica che rara (come l’hanno detta i medici). E la presenza e l’affetto degli amici-fratelli è stato essenziale e fondamentale. Solo nelle ultime settimane ha cominciato a figurarsi come Don Chisciotte e ne mimava con le braccia il disordinato e confuso duello contro i mulini a vento. Ma sempre sorridendo quasi per gioco, sempre attento a non farmi, a non farci preoccupare, ma mi sembra di avere scorto nel suo sguardo una malinconia amara, sottile proprio dietro i suoi occhi.
Allora rubo le parole preziose di Stefano che sa meglio di me dare senso e significato al sentire della storia e della vita, vi leggo alcuni versi di una delle sue poesie, si intitola
Itaca
Vagheggiando sempre quell’isola
Senza cui non avrei mai alzato le vele
Il mio viaggio l’ho fatto
E da ogni porto ossidiane ed ambre ho riportato.
Rughe intorno agli occhi e sole sulla pelle.
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Ma quando il vento, girando, increspa le onde
Devo salpare ancora e tracciare nuove rotte
Scoprendo che non ho imparato nulla
E che le mie ricchezze valgono un meno di niente.
Marina Romano
Ciao cuginone.
Ti voglio ringraziare.
Non so se te l’ho mai detto bene, ma per me tu sei stato un faro, un esempio, non solo per le cose che dicevi, ma per quello che facevi.
Ho imparato tantissimo da te, non solo ascoltandoti e dialogando con te, ma osservando la tua vita.
Sin da piccolo ti scrutavo minuziosamente e ti ascoltavo quando dialogavi con gli altri membri della nostra famiglia. E ascoltavo anche i racconti degli altri su di te: le tue battaglie, il tuo impegno civile, politico, la tua lotta per un mondo migliore, il tuo tendere verso l’orizzonte dell’utopia e della libertà. E, voglio dirlo qui, in questa sede e in questo momento storico: il tuo antifascismo.
Ci separano 9 anni di età, ma ci ha sempre uniti una coincidenza metafisica: siamo nati nello stesso giorno, il 6 marzo. Ho sempre sentito questo avvenimento come un legame fortissimo con te.
Nella mia infanzia e adolescenza mi sono rimaste impresse tante scene di te. Una voglio raccontarla ora qui. Metà anni ’70, io avrò avuto dieci anni, tu diciannove. Tutta la famiglia allargata era a pranzo, come molte domeniche, da Nonno Stefano e Nonna Emma. Nel pomeriggio, tu dicesti: “io e Marina andiamo al Festival dell’Unità, nella pineta di Ponte Vecchio. Portiamo anche Giovanni con noi, d’accordo?”. Questa proposta provocò un subbuglio: un bambino di dieci anni tra i comunisti? E tu rispondesti: “perché a messa sì e al Festival dell’Unità no? Di cosa avete paura?”. La spuntasti tu: quel giorno, io partecipai al mio primo Festival dell’Unità. Con quell’episodio mi hai insegnato almeno due cose: in primis, che nella vita c’è un’altra prospettiva. Secondo, che se uno combatte, ottiene.
Le nostre madri sorelle, Zia Elvira e Mamma Luciana, quando ci raccontavano di questa coincidenza delle nostre nascite nello stesso giorno e persino nella stessa clinica, dicevano che all’epoca preannunciavano a te bambino l’arrivo di questo cuginetto come il regalo per il compleanno di quell’anno, mai immaginando che sarebbe arrivato proprio quel giorno preciso, il 6 marzo.
Non so se io sia stato un regalo per te, Francesco, ma ti assicuro che tu lo sei stato per me.
Ti voglio bene.
Giovanni
In ricordo di un amico
La morte di Francesco Romano rappresenta per tutti noi un colpo durissimo di fronte al quale è veramente difficile dire qualunque cosa. Per quanto coloro che gli erano più vicini sapessero del precipitare delle sue condizioni di salute, il suo vitale ottimismo e la sua volontà erano contagiosi e lasciavano una speranza di guarigione irragionevole, a cui però volevamo credere. Se ne è andato un fratello, una presenza certa è costante, con cui alcuni tra di noi avevano condiviso un percorso di mezzo secolo, ed io personalmente anche qualche anno di più. Tra gli amici del Circolo Culturale Montesacro credo di essere stato il primo ad incontrarlo e – sarà perché sto invecchiando – se penso a Francesco, mi vengono in mente una infinità di episodi ma soprattutto quelli più remoti
Ho conosciuto Francesco quando avevo 15 anni. Stavo per iscrivermi al terzo anno del liceo scientifico. Sono nato nel Marzo del 53 ed avevo due anni più di lui. Credo fosse l’estate del 1969, sulla spiaggia di Montesilvano a pochi chilometri da Pescara. Marina e Francesco frequentavano quella spiaggia del Mar Adriatico da alcuni anni, dove mi pare di ricordare i loro genitori avevano una casa estiva. Erano entrambi punti di riferimento di una comitiva di giovani pieni di allegria ed entusiasmo, come tutta la generazione del ’68. Fu Francesco ad avvicinarmi: “vuoi giocare a pallone con noi”? Mi colpì il sorriso, la cordialità, qualità che non gli sono mai mancate. Ed anche una certa disinvoltura nelle relazioni di cui io non ero capace. Mi sentivo goffo, impacciato, inadeguato. Francesco più giovane di me, ma più sciolto e più sicuro. Una capacità che evidentemente era anche il riflesso di un percorso di maturità e di crescita già tracciato da Marina, più grande di lui. In una parola mi colpì la sua disponibilità, la sua solarità.
Era l’agosto del 1969 e poco dopo, ad ottobre, ci ritrovammo entrambi nelle aule del Plinio Seniore, a Via Montebello. Anni piuttosto movimentati in cui con Lorenzo Amati, Cristina Colapietro, Paola Renzi, Antonio D’Ettorre e tanti altri di cui non riesco qui a fare il nome portavamo avanti una battaglia di apertura e democratizzazione della scuola che culminò in una serie frenetica di attività di organizzazione, di studio, di confronto tra studenti, che coinvolse anche una parte dei genitori e degli insegnanti. Conservo ancora da qualche parte un giornale numero unico che riuscimmo a stampare in quel periodo dal titolo non originale ma significativo: “Lotta di classe nella scuola”, in cui si impegnò anche Francesco.
Uso la parola democratizzazione non a caso, perché allora aveva un senso: nella scuola tradizionale, ormai al tramonto, le ragazze dovevano ancora indossare il grembiule nero con colletto bianco, rigorosamente sotto il ginocchio, ed il preside passava nelle classi per verificare barbe e capelli lunghi. Nell’atmosfera di anticonformismo che circolava in quegli anni, praticamente un invito a farseli crescere. Ci ricorderemo per sempre i bei capelli biondi di Francesco, divenuti col tempo solo un pò più corti. Se chiudo gli occhi me lo ricordo in cento fotogrammi: assemblee, cortei, qualche scazzottata con i fascisti che non mancavano mai all’uscita della scuola. Nel vortice del movimento che coinvolse le nostre menti e le nostre anime, eravamo mossi da grandi traguardi ideali, dal confuso ma radicale desiderio di contribuire a fondare una nuova società non più basata sullo sfruttamento dell’uomo, sull’ individualismo e sull’egoismo sociale. Ma soprattutto fummo motivati ed aiutati dai legami di amicizia che si andava consolidando tra di noi. Il tempo si sarebbe poi incaricato di dimostrare quanto difficile fosse e resta questo traguardo.
Nonostante tale impegno, così totalizzante, Francesco fu capace di mantenersi al passo con i suoi studi, di laurearsi nei tempi previsti del suo corso di laurea ingegneria. Era bravo a scuola e divenne un bravo ingegnere, come Valerio, di cui andava fiero e che amava sopra ogni cosa.
Ha affrontato la malattia con grande coraggio. Francesco era coraggioso e tenace, anche nel difendere il suo punto di vista politico, e se vi era una discussione animata non serbava mai rancore. Ancora una decina di mesi fa mi aveva promesso che, appena avesse recuperato le forze, mi avrebbe portato al lago dove aveva la sua deriva. E fino alla fine è stato capace di mantenere il suo impegno di studio e di ricerca con l’Università, come è stato qui ricordato. Durante gli ultimi giorni di vita, mentre era ricoverato in ospedale, continuava a lavorare con il suo computer. Era il suo modo di tenere testa alla malattia.
La comunità di amici e compagni del Circolo culturale Montesacro rappresentava la sua casa naturale, in cui si riconosceva integralmente. Non tanto e non solo per la sua capacità di analisi politica, che col tempo, come è naturale, abbiamo dovuto arricchire e aggiornare. Ma per il suo costituire una comunità di amici. Perché amicizia e solidarietà sono in definitiva un fine di chi si propone l’obiettivo di cambiare le relazioni umane ma anche una premessa da cui non si può prescindere e richiedono generosità ed altruismo verso gli altri. Qualità che a Francesco di sicuro non mancavano. Ciao Francesco un abbraccio a te e a tutti coloro che ti hanno voluto bene.
Massimo Taborri
Francesco, 25 febbraio 2023. Tempietto egizio Verano
Parlare di un amico che non c’è più senza emozionarsi e senza cadere nella retorica è quasi impossibile. Soprattutto quando si tratta di morti improvvise e premature. E l’addio di Francesco – per me – è stato un fulmine, che seppure prevedibile e previsto nell’ordine delle cose è apparso come inaspettato e deflagrante.
Sono contento di aver deciso di andarlo a trovare in ospedale al Gemelli con Marina e Massimo, così ho potuto vederlo e parlarci di persona per l’ultima volta. Ma vedendolo non avrei mai immaginato uno sviluppo così repentino della sua malattia. Avevo capito della difficoltà delle cure e degli incastri tremendi delle problematiche sanitarie. Ma non ho avuto nessuna percezione di quello che sarebbe successo dopo pochissimi giorni.
In questi ultimi mesi di calvario c’eravamo sentiti solo per telefono o su whatsapp. Tramite il telefonino e tramite la posta del Circolo gli mandavo le cose che scrivevo e lui non ha mai mancato un colpo. Ha sempre reagito con grandi complimenti ai miei articoli. Mi ringraziava e commentava politicamente i fenomeni che cercavo di descrivere con i miei pezzi. Un tema tra tutti gli stava a cuore: l’aumento delle diseguaglianze. Un problema che quasi lo assillava e sui cui ci invitava continuamente a costruire iniziative politiche e culturali. Non riesco a quantificare quante volte mi ha detto: “Ma perché non intervisti Fabrizio Barca? Perché non lo invitiamo a Montesacro”.
Uno dei tratti inconfondibili del carattere di Francesco era proprio la testardaggine. Non si dava mai per vinto. Quando si metteva in testa una cosa la doveva realizzare, come tutti i bravi ingegneri. Passione e cocciutaggine solo le parole che mi vengono in mente per descrivere il suo carattere e il suo modo di essere al mondo. Insieme ad un’altra caratteristica che sembra scontata, ma non lo è affatto: la generosità. Francesco era una persona generosa con gli altri e in particolare con i compagni di una vita. Non si è mai risparmiato e quando c’era da aiutare qualcuno, anche economicamente, non si tirava mai indietro. Con Francesco, quando eravamo molto giovani, ho vissuto per un periodo in un seminterrato del Tufello che noi chiamavamo “stampa e propaganda”. Ero alle mie prime armi nel giornalismo e lavoravo al Manifesto praticamente come volontario, qualche rimborso spese ogni tanto e niente stipendio. Ho vissuto per qualche mese con Francesco e Ruben, un altro nostro compagno del Circolo di Montesacro. Francesco ingegnere, Ruben matematico. Ero circondato. In quel periodo Francesco mi ha praticamente mantenuto. E non mi ha mai fatto pesare quella condizione dalla quale io non vedevo l’ora di uscire. La stessa solidarietà e presenza umana Francesco, il donatore di sangue, l’ha sempre mostrata con tutti.
Abbiamo fatto politica insieme a Montesacro e con lui ho lavorato in uno dei gruppi operai di quel periodo: il gruppo metalmeccanici, perché lui come ingegnere lavorava in una industria della Tiburtina Valley. La sua esperienza e i suoi problemi con la direzione ci aiutavano a capire quel mondo del lavoro che per noi studenti era comunque lontano. Ma anche con il lavoro non si è mai accontentato e ha ideato un progetto che secondo lui avrebbe rivoluzionato il modo di gestire energia e comunicazione. Un progetto con un brevetto europeo che ora dovrà essere ripreso e portato avanti da qualcuno. Probabilmente la sua idea era troppo avanzata per le tecnologie esistenti. E non mi chiedete di spiegarla perché dopo svariate lezioni di Francesco io non l’ho mai capita. Ma chi se ne intende dovrebbe farla marciare per arrivare in porto.
Un altro ricordo è una vacanza sulla sua barca nell’estate del 2020. Un bel giro sotto la costiera Amalfitana. Sulla sua vela eravamo quella volta in tre: Francesco, io e Giacomo, mio figlio. Anche in quel caso l’ingegnere-skipper non si è smentito. Mi prendeva in giro su come facevo i nodi, facendo i complimenti a Giacomo che pur essendo alla sua prima esperienza velica imparava subito tutto, mentre io, nonostante le tante regate estive e invernali, avevo dimenticato i rudimenti. La vela, il mare, sono state le altre sue grandi passioni. E già in quell’anno camminava male e pensavamo fosse un problema di artrosi. “Solo in barca mi muovo bene”, mi diceva.
Con i ricordi mi fermerei qui. Ma voglio concludere dicendo che c’è solo un modo per far vivere nelle cose quella frase che ci diciamo sempre quando ci viene a mancare un amico o un parente: “Staranno sempre con noi”. È vero staranno sempre con noi, stanno dentro di noi, ma l’unico modo per far vivere nella realtà di tutti i giorni questo pensiero è quello di cercare di portare avanti i progetti delle persone scomparse. A Francesco glielo dobbiamo, a cominciare dalla decisione di connettere finalmente Montesacro. Per questo propongo anche di trovare qualcuno che si interessi al suo progetto avveniristico, mentre da parte mia l’unica cosa che potrò fare e dedicargli tutti i miei prossimi lavori sulle diseguaglianze. Alla fine mi toccherà intervistare Barca.
Paolo Andruccioli
Conosco il senso dell’amicizia, l’allegria e la voglia di vita di Francesco da quando eravamo piccoli, frequentavamo insieme la stessa scuola media, poi le nostre strade si divisero, scegliemmo licei diversi, io frequentai l’Avogadro. Mi avvicinai alle lotte degli studenti e conobbi Roberta al Giulio Cesare e Marco, il fratello di Piero e con loro cominciammo ad avvicinarci al Circolo. Con Francesco ci incontrammo di nuovo per caso proprio nel 1973, 50 anni fa, ad una manifestazione a piazza Esedra. Ci abbracciammo dopo tanti anni, l’amico ritrovato. “Ciao, come stai, che stai facendo ora?” “Sai – mi dice – ho cominciato a frequentare un collettivo, a Montesacro”. “Davvero? Dai, ma allora è lo stesso a cui mi sto avvicinando anche io da qualche settimana”. Da allora abbiamo trascorso insieme i momenti belli, spensierati e pieni di speranze della nostra giovinezza: l’entusiasmo per l’impegno politico e l’allegria delle gite, i viaggi, i nostri mitici e peculiari campeggi estivi, Francesco e la chitarra. La nostra amicizia semplice e senza imbarazzi passava dallo scambio delle confidenze personali al confronto appassionato anche se a volte approssimato su quello che succedeva intorno a noi e poi l’intervento politico quotidiano fianco a fianco. Insieme alla voglia di fare, dimostrava la sua generosità e accoglienza con chiunque di noi. Personalmente ricordo l’ospitalità nella sua casa al mare, a Tortora fino all’accoglienza che mi offrì, senza mai farmela pesare, come un fratello, per un anno nella sua casa a Roma, dopo la sua e la mia separazione.
La sua disponibilità, la sua voglia di stare insieme e uniti, emergevano sempre anche quando i suoi interventi erano accesi e a volte controversi, il suo affetto appassionato per la nostra comunità li ha dimostrati fino alla fine.
A volte vorremmo che le immagini colorate di quegli anni giovanili intensi e pieni di vita possano rimanere immutabili nel tempo, con la vana illusione che magari possano perpetuarsi ancora e che niente nel frattempo sia cambiato intorno e dentro di noi. A me capita spesso, quando penso a qualcuno di noi, di non vedere nella mia mente le figure inevitabilmente invecchiate attuali ma l’immagine giovanile di quegli anni, Francesco è una di queste. Me lo spiego forse perché Francesco nei suoi tratti, nella sua figura aveva mantenuto quello spirito, quella energia, quella positività e quel desiderio di legame con gli altri che è lo stesso in fondo, che ci fa stare ancora tutti insieme qui e che a lui credo, sarebbe piaciuto. Ciao, Francesco, ci ribecchiamo da qualche parte.
Fabio Tarallo, 25 febbraio 2023